Le cicatrici nella storia e nell’arte | Resolve

KINTSUGI
È L'ARTE GIAPPONESE DI RIPARARE LA CERAMICA CON L'ORO, METAFORA DELLA RESILIENZA E DI COME LE CICATRICI DELL'ANIMA SI TRASFORMINO IN PUNTI DI FORZA

L’arte giapponese di riparare la ceramica con l’oro è una metafora straordinaria della cicatrizzazione e della resilienza che comporta.

Il Kintsugi (金継ぎ), letteralmente “riparazione con l’oro”, rappresenta un’antica tecnica artistica giapponese che prevede la riparazione di oggetti in ceramica fratturati mediante l’utilizzo di una lacca mescolata con polvere d’oro, d’argento o di platino. Questa pratica trasforma un evento potenzialmente distruttivo, come la rottura di un oggetto prezioso, in un’opportunità per creare un manufatto di maggiore valore estetico e spirituale.

Negli ultimi decenni, il Kintsugi ha trovato una significativa applicazione metaforica nell’ambito della psicologia clinica e della crescita personale, rappresentando efficacemente il concetto di resilienza e la trasformazione delle esperienze traumatiche in opportunità di crescita.

 

ORIGINI STORICHE E FONDAMENTI FILOSOFICI

L’arte del Kintsugi si sviluppò in Giappone durante il periodo Muromachi (1336-1573), quando lo shogun Ashikaga Yoshimasa inviò una preziosa tazza da tè cinese in Cina per essere riparata. Al suo ritorno, la tazza era stata riparata con graffe metalliche poco estetiche, spingendo gli artigiani giapponesi a sviluppare un metodo alternativo che trasformasse le riparazioni in elementi di bellezza e valore.

Il Kintsugi è profondamente radicato in tre concetti fondamentali della filosofia giapponese:

  1. Wabi-sabi (侘寂): l’accettazione dell’imperfezione e della transitorietà come elementi di bellezza. Questo principio estetico celebra le imperfezioni, l’asimmetria e la semplicità come manifestazioni dell’autenticità (Koren, 2008).
  2. Mottainai (もったいない): un termine che esprime rammarico per lo spreco e incoraggia l’uso rispettoso delle risorse. Riparare un oggetto invece di sostituirlo riflette un profondo rispetto per la sua storia e per i materiali di cui è composto (Hayashi & Rothberg, 2016).
  3. Mushin (無心): uno stato mentale privo di attaccamento, in cui si accetta il cambiamento senza resistenza. Questa condizione di non-mente è centrale nella pratica zen e riflette l’accettazione delle trasformazioni della vita.

LA TECNICA TRADIZIONALE DEL KINTSUGI

La riparazione mediante Kintsugi è un processo meticoloso che richiede pazienza e precisione. Tradizionalmente, consiste in diverse fasi:

  1. Pulizia e preparazione dei frammenti
  2. Applicazione di una resina di origine vegetale (urushi) per unire i pezzi
  3. Applicazione di ulteriori strati di urushi
  4. Applicazione di polvere d’oro, argento o platino sulla lacca ancora umida
  5. Levigatura e lucidatura della superficie

Il risultato è un oggetto che non nasconde le sue fratture ma le esalta, trasformandole in linee dorate che raccontano la storia dell’oggetto e delle sue trasformazioni. Le tecniche principali includono:

  • Crack: riparazione di una semplice frattura
  • Piece method: sostituzione di pezzi mancanti con frammenti di altri oggetti
  • Joint-call: quando si utilizzano parti completamente nuove per sostituire quelle mancanti

IL KINTSUGI E LE CICATRICI: UNA METAFORA BIOLOGICA

Proprio come nel Kintsugi, dove le linee d’oro evidenziano e nobilitano le fratture della ceramica, anche il nostro corpo celebra la guarigione attraverso le cicatrici. Quando la pelle subisce una ferita profonda, il nostro organismo avvia un complesso processo di riparazione: i fibroblasti producono collagene che, come la lacca dorata dell’arte giapponese, riempie gli spazi vuoti creando un tessuto nuovo. Questo tessuto cicatriziale appare diverso dalla pelle originaria – più compatto, meno elastico e spesso di un colore leggermente differente – proprio come le venature dorate del Kintsugi risaltano sulla ceramica.

La cicatrice racconta una storia di guarigione, rappresenta la straordinaria capacità del corpo di rigenerarsi e adattarsi. In entrambi i casi, Kintsugi e cicatrizzazione, non si torna allo stato originario ma si evolve in qualcosa di nuovo: la ferita non scompare ma si trasforma, diventa parte integrante della nostra storia corporea. E come i vasi riparati con il Kintsugi acquistano un valore speciale, anche le nostre cicatrici possono essere viste non come imperfezioni da nascondere, ma come segni di resilienza, testimonianze tangibili della nostra capacità di guarire e continuare il nostro cammino.

LA CONDIVISIONE DELLE CICATRICI: DALLA VULNERABILITÀ ALLA CONNESSIONE

Ciò che rende ancora più affascinante il parallelismo tra il Kintsugi e le nostre cicatrici è la dimensione relazionale che entrambi possono assumere. Quando un ceramista mostra con orgoglio un’opera riparata con l’oro, sta condividendo non solo un oggetto, ma una storia di fragilità trasformata in bellezza. Allo stesso modo, quando scegliamo di non nascondere le nostre cicatrici – fisiche o emozionali – ma di raccontarle, creiamo opportunità di connessione autentica con gli altri.

Condividere le nostre ferite richiede coraggio, ma spesso apre la porta a conversazioni più profonde e significative. È attraverso questa vulnerabilità condivisa che si creano legami genuini: riconosciamo nell’altro la stessa resilienza che abbiamo scoperto in noi stessi. Le nostre cicatrici, come le linee dorate del Kintsugi, possono diventare punti di incontro, creando una rete di comprensione reciproca. In un mondo che spesso celebra solo la perfezione, sia il Kintsugi che l’accettazione delle nostre cicatrici ci ricordano che è proprio nelle nostre rotture e riparazioni che troviamo la nostra umanità condivisa.

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